{{IMG}} 2011-02-05
di VALERIO SALVINI
CASTEL DEL RIO
«CREDO che limportanza di avere unazienda non risieda nel profitto, ma nei valori che essa rappresenta e nellamore per il mio territorio». Non ha dubbi Monia Rontini, rappresentante e proprietaria, assieme al padre, dellazienda agricola di Castel Del Rio Il Regno del marrone. Qui il prezioso prodotto dellAppennino, Igp dal 1985, è di casa e viene lavorato e trasformato in farina, confetture, marroni secchi e birra. Lazienda alidosiana, dunque, valorizza un prodotto di importanza vitale per queste zone. Non a caso un tempo il castagno era chiamato lalbero del pane, costituendo il cibo quotidiano della popolazione povera. Ma non solo. Nel 1600, infatti, il Doge di Venezia richiedeva espressamente il marrone di Castel Del Rio. Qui si preparava la farina, dalle importanti proprietà nutrizionali, che poi veniva pressata e conservata così tutto lanno, centellinata tutti i giorni.
TORNANDO ad oggi, Monia racconta perché ha deciso di portare avanti la tradizione di casa. «Da generazioni la mia famiglia lavora nei castagneti racconta Monia rispettando il più possibile lambiente e puntando su una coltivazione biologica. Abbiamo 50 ettari di castagneti e per la pulizia del terreno, ci avvaliamo anche di un gregge di pecore che mangiando elimina le erbe del sottobosco. E un modo per utilizzare dei fertilizzanti naturali». Fra le specialità dellazienda vi sono i marroni secchi, «lasciati in un essiccatoio con stufa a legna di castagno portata in inizio primavera dallo scarto delle potature, sempre per non incidere troppo sullambiente continua Monia . Abbiamo anche una confettura, con rum e cacao, e la farina di marroni. Da alcuni anni abbiamo introdotto anche la birra artigianale di marrone: è una doppio malto non filtrata e non pastorizzata con un retrogusto di marrone. Un prodotto insolito, ma ottimo». Arrivando alla vendita, «per lo più lavoriamo al mercato ortofrutticolo di Bologna, con i negozianti e vendiamo marroni sfusi su richiesta. Partecipiamo a diverse fiere, tra cui il Saana, la fiera del biologico di Bologna».
UNA SCELTA controcorrente quella di Monia, di cui però va fiera. «Mentre molti se ne vanno, ho deciso di restare nella mia terra, anche se coltivare i castagni non è facile. Una volta più persone erano impiegate nella raccolta: gli sganciatori salivano sui castagni per potarli, mentre gli sbattitori,impiegati a inizio ottobre, quando iniziavano a cadere i marroni, sbattevano con le pertiche di canna i rami, anche in equilibrio sulla pianta. I ricci abbattuti e rimasti chiusi venivano raccolti e radunati in mucchi, le ricciaie; coperti con felci e foglie, venivano poi lasciati macerare fino ai primi di novembre, quando venivano aperti. Queste pratiche arrivarono fino al 1960; da lì in poi non si trovava più nessuno per fare questo lavoro molto pericoloso e in cui molti persero la vita».
di VALERIO SALVINI
CASTEL DEL RIO
«CREDO che limportanza di avere unazienda non risieda nel profitto, ma nei valori che essa rappresenta e nellamore per il mio territorio». Non ha dubbi Monia Rontini, rappresentante e proprietaria, assieme al padre, dellazienda agricola di Castel Del Rio Il Regno del marrone. Qui il prezioso prodotto dellAppennino, Igp dal 1985, è di casa e viene lavorato e trasformato in farina, confetture, marroni secchi e birra. Lazienda alidosiana, dunque, valorizza un prodotto di importanza vitale per queste zone. Non a caso un tempo il castagno era chiamato lalbero del pane, costituendo il cibo quotidiano della popolazione povera. Ma non solo. Nel 1600, infatti, il Doge di Venezia richiedeva espressamente il marrone di Castel Del Rio. Qui si preparava la farina, dalle importanti proprietà nutrizionali, che poi veniva pressata e conservata così tutto lanno, centellinata tutti i giorni.
TORNANDO ad oggi, Monia racconta perché ha deciso di portare avanti la tradizione di casa. «Da generazioni la mia famiglia lavora nei castagneti racconta Monia rispettando il più possibile lambiente e puntando su una coltivazione biologica. Abbiamo 50 ettari di castagneti e per la pulizia del terreno, ci avvaliamo anche di un gregge di pecore che mangiando elimina le erbe del sottobosco. E un modo per utilizzare dei fertilizzanti naturali». Fra le specialità dellazienda vi sono i marroni secchi, «lasciati in un essiccatoio con stufa a legna di castagno portata in inizio primavera dallo scarto delle potature, sempre per non incidere troppo sullambiente continua Monia . Abbiamo anche una confettura, con rum e cacao, e la farina di marroni. Da alcuni anni abbiamo introdotto anche la birra artigianale di marrone: è una doppio malto non filtrata e non pastorizzata con un retrogusto di marrone. Un prodotto insolito, ma ottimo». Arrivando alla vendita, «per lo più lavoriamo al mercato ortofrutticolo di Bologna, con i negozianti e vendiamo marroni sfusi su richiesta. Partecipiamo a diverse fiere, tra cui il Saana, la fiera del biologico di Bologna».
UNA SCELTA controcorrente quella di Monia, di cui però va fiera. «Mentre molti se ne vanno, ho deciso di restare nella mia terra, anche se coltivare i castagni non è facile. Una volta più persone erano impiegate nella raccolta: gli sganciatori salivano sui castagni per potarli, mentre gli sbattitori,impiegati a inizio ottobre, quando iniziavano a cadere i marroni, sbattevano con le pertiche di canna i rami, anche in equilibrio sulla pianta. I ricci abbattuti e rimasti chiusi venivano raccolti e radunati in mucchi, le ricciaie; coperti con felci e foglie, venivano poi lasciati macerare fino ai primi di novembre, quando venivano aperti. Queste pratiche arrivarono fino al 1960; da lì in poi non si trovava più nessuno per fare questo lavoro molto pericoloso e in cui molti persero la vita».
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