Forlì, 22 marzo 2012 - PALAZZO GADDI vuol dire splendore. Ma anche miseria: questa è la condizione dello storico edificio, uno degli scrigni più importanti del Risorgimento italiano. La facciata severa sul corso Garibaldi non lascia prevedere la drammatica situazione in cui si trova la struttura. Più evidente invece il degrado se si osserva la costruzione dall’antica e limitrofa via Sassi. Un autentico pugno allo stomaco produce poi, nel visitatore, la visione degli spazi interni di uno dei palazzi più prestigiosi di Forlì «un palazzo che di per sé è un museo — così lo definisce Gianfranco Argnani, ingegnere, responsabile unico del progetto per la conservazione dell’edificio —. È il palazzo forlivese più ricco e racconta un pezzo di storia di Forlì. E poi è tutto affrescato, perfino nel sottoscala».
LO STATO di abbandono però è da paura. Eppure i lavori avevano preso l’avvio alcuni anni fa: tetto e soffitto sono stati messi in sicurezza. Restaurati. E, con loro, anche una parte di affreschi che ornavano i soffitti delle sale affrescate dal Giani. Operazione condotta dal restauratore Ottorino Nonfarmale.
Palazzo Gaddi ha origini lontane: è addirittura di fondazione romana, come del resto tutto ciò che lo circonda, essendo questo il nucleo più antico della città. Altri reperti documentano la presenza di edifici nel ‘500 , ma la costruzione dell’attuale palazzo è datata fra ‘600 e ‘700, come dimostrano lo scalone e la grande sala con affreschi della scuola del Cignani; neoclassiche sono poi le decorazioni realizzate da Felice Giani. Nella guida del Casadei del 1928 si legge che nell’edificio era conservato l’archivio di Gioacchino Pepoli, coi manoscritti e la corrispondenza epistolare con gli uomini più importanti del suo tempo.
ALTRA NOTIZIA, non da poco, da ricordare: il 4 febbraio 1797 nel palazzo soggiornò Napoleone Bonaparte. La domanda allora è: come mai un patrimonio come questo è lasciato in condizioni di gravissimo degrado? Il palazzo tutto affrescato, anche nelle zone di transito e in quelle più nascoste, subì restauri dopo lo sciame sismico del 2002, con lavori alle coperture (visto che la pioggia filtrava dai muri e dal tetto). Finanziati dalla Regione e dal Comune, gli interventi si limitarono alle coperture e al consolidamento delle volte degli affreschi del soffitto nelle tre stanze del piano nobile, che conservano gli affreschi del Giani. Poi, nel 2004-2005 i lavori si sono fermati. Oggi il decadimento è tale che si rischia un danno irreversibile. Per recuperare questo edificio è stato presentato un progetto dell’architetto Raoul Benghi. Progetto splendido, studiato nei minimi particolari in un impegno che si è protratto per 30 anni.
A parte la copertura, null’altro è stato attuato. Perchè? Solita risposta: non ci sono i soldi. Il cittadino si chiede: non erano previsti fondi europei? Non si poteva accedere ad essi durante le celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia? Perché lasciar morire una realtà che poteva essere unica in Italia? Perché non intervenire sugli affreschi (molti dei quali dovrebbero essere recuperati perché coperti da intonaco)? E soprattutto perché non far vivere un palazzo che contiene tre aree museali (il museo del Risorgimento, il museo del teatro e quello degli strumenti musicali)? Mancando il personale, i musei possono essere visitati solo su prenotazione. In caso contrario l’edificio resta chiuso, abitato solo dai piccioni le cui uova ed escrementi impediscono addirittura l’apertura delle finestre. E pensare che le porte e le finestre sono tutte d’epoca, con tanto di decorazioni.
La parte più affascinante del progetto dell’architetto Benghi prevedeva un collegamento tra i tre palazzi della zona: Palazzo Gaddi, Palazzo Sangiorgi e Palazzo Sassi-Masini. Due di questi palazzi (Gaddi e Sangiorgi) originariamente erano uniti da un ponte (tuttora esistente sulla via Gaddi ) essendo proprietà della stessa famiglia. Altro collegamento: oggi il palazzo Sangiorgi ospita l’istituto Musicale Masini che, precedentemente, aveva sede nel palazzo Gaddi. Gli ambienti (con pavimento in parquet) del Liceo musicale nel palazzo Gaddi, ora abbandonati , sono quelli che si trovano in uno stato di maggior sofferenza. L’unione dei tre palazzi adiacenti, attraverso cortili e corridoi, avrebbe permesso una fruizione maggiore di quest’area, che sarebbe diventata un policentro comprensivo di ristorante, book shop, sale di musica, laboratori, con un cortile coperto di vetro adatto per eventi.
IL COMPLESSO poteva essere «la cittadella della musica» (com’era nelle intenzioni negli anni ’80); certamente sarebbe stato un luogo frequentatissimo, dato che palazzo Sassi-Masini è ora uno studentato. Il progetto, approvato dalla Soprintendenza, era dunque un’integrazione spaziale e funzionale dei tre palazzi di proprietà del Comune, uniti in un’unica realtà strutturale. «La capacità di 5000 metri quadri, riccamente affrescata e decorata, architettonicamente definita — spiega Raoul Benghi — avrebbe permesso la possibilità di utilizzare le singole sale per musei, uffici culturali ecc. Senza dimenticare che le aree sotto il soffitto sono ampie e potrebbero essere sfruttate. Palazzo Gaddi è stato costruito con grande eccellenza artigianale: perfino le porte, oggi ridipinte in marrone, erano affrescate».
Attualmente invece crepe, degrado e lesioni lasciano prevedere un deterioramento progressivo con affreschi che si distaccano e, ovviamente, destinati a perdersi irrimediabilmente. Quanto potrebbe costare un restauro? Si parla di 15 milioni di euro, compreso l’arredamento e la centrale termica che non è più a norma. Di fronte a problemi gravi come ad esempio l’amianto nelle scuole, il progetto del palazzo Gaddi passa in secondo piano. Tuttavia non possiamo esimerci dal chiedere: a chi interessa palazzo Gaddi? O meglio: ai forlivesi interessa il proprio patrimonio culturale?
di Rosanna Ricci
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