Ferrara, 6 agosto 2017 – Voleva bruciare tutto, casa compresa, Galeazzo l’antiquario. «La proprietà non è più mia – avrà pensato nel suo ultimo viaggio – e non sarà mai di nessun altro». Prima di appiccare le fiamme nel magazzino colmo di film, locandine e tanto altro, aveva aperto il gas. «Un piano – spiega il capo della Mobile, Andrea Crucianelli – ben preciso, ma pensato probabilmente solo poche ore prima». Dopo la tragedia che ha dilaniato la famiglia Bartolucci, la loro piazzetta privata continua a sgorgare lacrime. «Quante disperazioni convivono nella solitudine. – recita un biglietto in Santo Stefano sotto un mazzo di fiori per Galeazzo Bartolucci – La maschera è obbligatoria». Già, quella maschera che il 77enne è stato costretto a indossare da settembre 2016, quando la sua vita si era volatilizzata per sempre battuta in un’asta pubblica. Puff. Addio casa, negozio, magazzino. Storia, amore, tradizione. Tutto. Schivo, silenzioso, ma sempre educato e gentile, con quel suo sorriso pacioso da far sciogliere pure un iceberg. «Ma dentro di lui – spiega Pirro, il fratello – da quel momento si era rotto qualcosa. Qualcosa che continuava a rodergli».
Il corpo senza vita lo ha trovato una signora venerdì alle 7.15 prima del caffè. Schiena appiccicata ad una delle colonne di Santo Stefano, testa penzoloni verso terra, sulla mano destra semiaperta la piccola Smith & Wesson a cinque colpi ereditata dal padre ma mai denunciata dal figlio. La donna, spaventata dall’enorme macchia di sangue che colorava la camicetta a righe di quello sconosciuto (il colpo però è stato sparato in fronte), dopo averlo chiamato senza ottenerne risposta, è corsa in un bar per allertare il 113. «Il suicidio – continua il dirigente di polizia – sarebbe avvenuto tra le 5.30 e le 5.45». Pochi minuti prima di porre fine all’esistenza, e ai futuri debiti che gli avrebbe lasciato, della moglie Mariella Mangolini, 73 anni, e al figlio Giovanni, 44, e appiccare il rogo. Alle 6 il primo fumo invade le stanze del dirimpettaio, il fratello Pirro il quale avverte il 115. Ma i corpi anneriti, non carbonizzati, di moglie e figlio, verranno alla luce solo alle 7.30. «Bartolucci aveva buoni rapporti con tutti, familiari compresi – conferma Crucianelli – e seppure chiuso e riservato, era sempre molto gentile e vedeva il fratello ogni giorno». Pirro, però, non sapeva tutto dello sfratto fissato per venerdì 4 perché Galeazzo, tante amarezze, preferiva tenersele. Stava bene di salute, mai il minimo problema di testa. Sano come un pesce con le sue 77 primavere. Il custode giudiziale era atteso alle 9 in punto per la consegna delle chiavi, la famiglia aveva già trovato un accordo di massima per una casa in affitto in via Bologna dall’1 ottobre.
Ma venerdì i Bartolucci non sarebbero stati buttati fuori dal loro ex feudo. Con i nuovi acquirenti, infatti, si sarebbe stabilito di posticipare il trasloco. Galeazzo lo sapeva e pareva tranquillo. Poi, però, la goccia che ha scatenato l’inferno nella sua testa. Il pignoramento di tutti i beni del negozio arrivato il giorno precedente: giovedì 3. Episodio nascosto a tutti, pure all’avvocato. Galeazzo l’antiquario era fatto così. Prendere o lasciare. In quel momento, però, si è sentito svuotato definitivamente: casa, negozio, film d’epoca. La sua vita, un pezzo dei Bartolucci. Devastato e spogliato dell’ultima flebile speranza, ecco la decisione di cacciar via quella «maschera obbligatoria» dietro alla quale c’era solamente «solitudine e disperazione». Tre colpi di pistola. L’ultimo tutto per lui. Perché la tragedia della vita, scriveva Einstein, è ciò che muore dentro ogni uomo col passare dei giorni