Ferrara, 14 dicembre 2016 - Dal Benin l’ha portato via in una notte d’estate per salvarlo dalle pesanti minacce di un nonno animista, l’ha disperatamente protetto durante il duro peregrinare lungo mezzo continente nero, l’ha difeso dalle violenze subite prima di imbarcarsi dalla Libia, l’ha affidato nelle preghiere a Dio mentre con un barcone attraversava il Mediterraneo, l’ha infine rassicurato parlandogli a bassa voce quando sembrava che per loro non ci fosse un posto in Italia. E nelle prime ore di lunedì l’ha finalmente dato alla luce.
Ha soli 20 anni Joy Andrew, ma il suo sguardo non brilla più della leggerezza tipica della giovane età. Nella camera di Ostetricia dell’ospedale di Cona abbraccia in silenzio il suo piccolo Michael. Osserva fuori dalla finestra la coltre di nebbia che avvolge il mattino, sospira e poi inizia a parlare piano. «È un piccolo miracolo che mio figlio stia bene dopo tutto quello che ha dovuto affrontare quando era ancora nella mia pancia», spiega in un inglese perfetto.
Accarezza con tutta la ‘dolcezza di mamma’ i ricci scuri che ricoprono la testa del piccolo e, quasi sognando ad occhi aperti, rivela di sognare per lui «una vita qua, in Italia. Ho fatto tanta fatica per arrivare, vorrei che potesse crescere serenamente in un Paese dove non ci sono violenze». Lo guarda con attenzione mentre da sotto il lenzuolo si muove alla ricerca di calore umano: «Mi piacerebbe tanto che un giorno potesse studiare all’università e diventasse un dottore, un dottore che aiuta gli altri. Sono sicura: sarà un uomo buono e generoso». «Michael aveva tanta fretta di nascere - aggiunge sorridente-: doveva venire al mondo mercoledì (oggi per chi legge, ndr) ma ha anticipato i tempi. E ora è bellissimo averlo tra le mie braccia. Ancora non mi sembra vero di essere diventata mamma, sono stati mesi così difficili. Voglio per lui una vita più spensierata di quella che ho vissuto io fino ad ora».
Sono lontane le barricate di Gorino. Anche se solo a sentirne parlare alza istintivamente le mani quasi per respingerle: «Vivere quella situazione mi ha molto intristito e amareggiato - spiega -: non capivo le ragioni. A un certo punto mi pareva fosse impossibile per me trovare pace in questo mondo. Ma, ripensando adesso a quei momenti, mi sono fatta l’idea che a scatenare le proteste sia stata una mancanza di comunicazione. Nessuno respingerebbe delle donne, addirittura incinta». Dopo quasi due mesi di silenzio è riuscita anche a sentire telefonicamente il suo compagno Lamin: «Non riuscivamo a parlarci da tanto tempo. In Libia ci hanno separati in malo modo e non siamo più riusciti a ritrovarci. Nelle scorse ore gli ho annunciato che è diventato papà di un bellissimo bambino. È felicissimo e mi ha promesso che ci raggiungerà al più presto. Spero non gli succeda nulla, prego tanto per lui».
ORA nella struttura di viale Mura di Porta Po dove risiede, la aspettano con Michael. «I medici - spiega - mi hanno detto che se tutto procede bene sarò presto dimessa. Non vedo l’ora. Qui mi trattano tutti benissimo, ma non vedo l’ora lo stesso di poter uscire. E cominciare a vivere giorno dopo giorno con Michael e Lamin. Voglio imparare bene l’italiano e iniziare a lavorare. Il mio sogno più grande è diventare con loro una vera famiglia e vivere tutti insieme a Ferrara. Non chiedo davvero di più».