Cento (Ferrara), 4 maggio 2015 - L’ha distesa a letto l’ultima volta, l’ha medicata, ha visto chiudere i suoi occhi esausti, poi l’ha colpita. Un fendente secco, in profondità, con un coltello da cucina nella parte destra dell’addome che non ha lasciato scampo a Carmen Tassinari, 80 anni. Poi ha chiamato i soccorsi, li ha attesi seduto su una seggiola ed è crollato in lacrime: «Non riuscivo più a vederla soffrire, ora aiutatemi». Via Borselli, Cento, i palazzi dell’Ina case da ambo i lati della strada. Qui, al civico 9, sabato sera si è consumata la tragedia della disperazione. Giuseppe Parmiani, 82 anni originario di Comacchio, ha ucciso la moglie, probabilmente nel sonno. Da quel momento si trova agli arresti domiciliari in attesa della convalida, prevista domani.
Il dolore. Sabato sera. Primo piano di una palazzina in mattoncini arancioni. Qui vivono da una vita Giuseppe e Carmen: lui per 35 anni in fonderia, lei casalinga originaria di Sabaudia. «Sono sempre stati affiatati – ricorda commossa una vicina –, lui le ha sempre voluto bene». Giuseppe ogni giorno fa la spola avanti e indietro tra la farmacia e la bottega, porta avanti casa ma soprattutto cura la moglie invalida. Da tempo Carmen soffre di varie patologie gravissime, vive su una sedia a rotelle, non riesce nemmeno a lavarsi. A tutto pensa lui con l’aiuto dei figli. Così accade anche l’altra sera. Giuseppe pensa alla cena, la lava e la accompagna a letto per l’ultima medicazione. Carmen soffre terribilmente, il suo fisico ogni giorno è sempre più provato. In cuor suo, forse, vorrebbe morire. Ma anche il marito è esausto, non riesce più a vederla in quello stato.
La morte. Le 21.30. La testa dell’uomo pulsa a più non posso, vuole mettere fine a tutto quanto, ad ogni dolore. Così afferra dalla cucina un coltello con una lama lunga 24 centimetri, quello che fino a pochi istanti prima aveva utilizzato per preparare da mangiare. In lacrime osserva Carmen, ha gli occhi chiusi, addosso tutto il peso della sofferenza e della malattia. Il coltello si conficca nell’addome della donna, una sola volta ma tanto basta. Ora è tutto finito. Prende il telefono, digita 118 e attende silenziosamente seduto in cucina. Pochi istanti, il campanello strilla. Giuseppe apre, davanti si trova sanitari e carabinieri. Crolla e poi confessa: «Ho agito nella disperazione, non ce la facevo più a vederla soffrire. Ma le ho sempre voluto bene».
Nella camera da letto, la moglie non respira già più. «Stava troppo male», dice lui commosso per poi ripetere: «Non avevo più la forza di vederla in quel modo, credetemi». I carabinieri trovano il coltello ancora sporco di sangue. Via Borselli si illumina con le sirene delle auto di soccorso. La gente corre in strada curiosa. Carmen non c’è più. Giuseppe viene portato nella vicina caserma, trecento metri di distanza in linea d’aria. Il suo racconto, di disperazione e sofferenza, è sempre lo stesso. Notte fonda: viene arrestato e messo ai domiciliari, lì dove poco prima ha ucciso l’amata compagna. La luce al primo piano della palazzina al civico 9 si spegne, in lontananza i primi raggi del nuovo giorno spuntano timidi.