Ancona, 7 maggio 2020 - Eravamo preparati, ma solo sulla carta. Sapevamo esattamente cosa sarebbe potuto succedere. E lo sapevamo dal 26 novembre 2007. Tredici anni fa, giorno in cui la Regione Marche approvò il Piano pandemico sulla base delle indicazioni dell’Oms e dell’istituto superiore di sanità. Un Piano talmente accurato che sembra scritto ieri, a cose fatte. Sapevamo che in caso di pandemia i reparti di terapia intensiva sarebbero andati in sofferenza, e sapevamo pure in quale fase questa sofferenza si sarebbe accentuata.
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Eravamo in grado anche, nel 2007, di stimare quanti morti avrebbe potuto causare l’attacco di un virus, senza discostarci troppo dai tragici numeri di oggi. E sapevamo pure quali armi avremmo dovuto utilizzare per vincere la battaglia. Ma tutto ciò che sapevamo con larghissimo anticipo non è servito a farci trovare pronti quando la pandemia è arrivata davvero. Abbiamo atteso il nemico per anni come il sottotenente Giovanni Drogo nel Deserto dei Tartari, poi eravamo a mani nude quando ce lo siamo trovati di fronte. Non solo noi marchigiani, questo è chiaro. Perché di Piani pandemici ce ne sono tanti, nazionali e regionali.
Il nostro, come gli altri, ci mette peraltro da subito in guardia per il futuro: «L’esperienza europea e nazionale delle precedenti pandemie – si legge a pagina 10 del documento – mostra che l’influenza si è diffusa in due ondate che hanno interessato due stagioni invernali, con il maggiore impatto durante la seconda». Questo dovrebbe bastare per farci stare in guardia durante la fase 2. Nel picco dell’attacco pandemico, fissato alla settima settimana, il Piano prevedeva «un numero di ricoveri che superano le 1.300 unità». Nei fatti, il massimo della pressione ospedaliera nelle Marche si è raggiunto alla sesta settimana, se consideriamo che il primo contagio risale al 25 febbraio: ebbene, il primo aprile i ricoverati erano 1.155, poco distanti dagli oltre 1.300 previsti.
«Nella settimana di maggior afflusso – si legge nel documento – circa 300 persone necessiterebbero del ricovero in terapia intensiva e molte di queste ammissioni richiederebbero l’utilizzo di respiratori meccanici». Il massimo dei ricoveri in terapia intensiva è stato raggiunto da noi il 31 marzo con 169 pazienti, cui però vanno aggiunti quelli in terapia sub-intensiva: il picco è stato raggiunto il 2 aprile con 305 persone ricoverate. «Sulla base di queste stime – è scritto nel Piano – si può supporre che il Sistema sanitario regionale e, in particolare, le terapie intensive potrebbero trovarsi in difficoltà durante il picco epidemico per la durata di 2-3 settimane». Esattamente quello che è successo.
E poi le vittime: «Una simile pandemia potrebbe essere responsabile di circa 2.000 morti (numero minimo 1.362, numero massimo 2.998)». A oggi le vittime sono 948, ma sappiamo quanto questo dato sia sottostimato, come hanno dimostrato i confronti sul tasso di mortalità di quest’anno con la media degli anni scorsi. Infine c’è anche la proiezione dei contagi settimanali, e per quanto anche qui sappiamo che i numeri dicano molto meno della realtà, il Piano prevedeva per l’undicesima settimana, cioè adesso, 7.124 positivi. Ebbene, sono 6.421.
Insomma, la corrispondenza tra le previsioni e la realtà è stupefacente. Il documento del 2007 andava oltre la prefigurazione dei possibili scenari e stabiliva anche una serie di misure per ridurre l’impatto della pandemia, tra cui spiccano le precuazioni a beneficio del personale della sanità pubblica. Precauzioni da applicare però nelle fasi prepandemiche e da concretizzare in particolare con l’utilizzo diffuso dei dispositivi di protezione individuale, ovvero mascherine, guanti e ogni altro tipo di strumento in grado di difendere medici, infermieri e operatori sanitari in genere. E sappiamo che, purtroppo, le cose non sono andate così.
A questo punto la domanda: perché non siamo riusciti a farci trovare pronti? E qui la risposta può avere mille sfaccettature. Secondo i sindacati la colpa è della contrazione della spesa sanitaria, che è sì aumentata nel periodo tra il 2009 e il 2017, ma solo dello 0,6% contro il 14,8% negli anni tra il 2001 e il 2008. «Nelle Marche – spiegano – questo ha significato ridurre del 6% la spesa per il personale tra il 2010 e il 2016, cui sono seguiti il blocco del turn over, l’accorpamento di decine di unità operative e la cancellazione di 13 ospedali, senza un rafforzamento dell’assistenza territoriale». Nelle Marche abbiamo perso circa mille posti letto in meno in 10 anni: dai 5.511 del 2010 ai 4.477 del 2018, un quinto in meno. E in questo calderone c’è il calo dei letti di terapia intensiva, che poi abbiamo dovuto frettolosamente aumentare dopo l’esplosione della pandemia (da 115 fino a 170).
Troppo tardi per prevenire un disastro, nonostante avessimo previsto tutto. Ma solo sulla carta.