VALERIO BARONCINI
Cronaca

I punti esclamativi del vàsscuv

Bologna, 13 dicembre 2015 - Leggo cosa scrivi e ti dirò chi sei. Il teorema può essere tranquillamente applicato al nostro nuovo vescovo, don Matteo Zuppi: l’analisi dei suoi testi, in particolare lo spettacolare e deflagrante saluto ai bolognesi, fa emergere la parte più solare e senza diaframmi della sua personalità. Per ben sei volte (e otto nell’omelia) il vescovo, anzi al vàsscuv come già molti lo invocano, utilizza il punto esclamativo.

 Sprone. Canto di gioia. Ammonimento. Tensione verso qualcosa che si scorge e non si tocca. Slancio, in definitiva. Tutte le sfumature albergano nel saluto d’ingresso di Zuppi, un percorso a tappe (il santuario di Boccadirio, i disoccupati Saeco, i ricoverati, i bambini, oggi i carcerati) sul cui senso ci siamo già interrogati più volte. La novità vera è il linguaggio usato, lo slittamento dalla morale alla pastorale, la scelta di dirigere... avvicinandosi. Sono sicuro che chi taccia Zuppi di ‘cattocomunismo’ (formula horror) sbaglia di brutto. Il tema che don Matteo ci sbatte in faccia non è la politica sul pulpito, non è il pauperismo, non è la solidarietà che diventa illegalità o la possibile guerra – brutalizzando una conversazione che dovrebbe avere ben altro livello – al mondo di Comunione e Liberazione e a una comunità conservatrice; il tema vero è la «risposta nuova» a «nuove sfide».  Tradotto: non è in ballo una classifica della religiosità o del ‘caffarrismo’ piuttosto che la vicinanza a Francesco. In ballo c’è la sopravvivenza della chiesa (quella bolognese è afflitta dalla carenza di vocazioni, ad esempio; e ha sicuramente bisogno di un rilancio verso i più giovani, i disillusi che tali sono perché evidentemente non tutte le risposte sono state date); in ballo c’è la convivenza della chiesa con il mondo e proprio per questo a brevissimo Zuppi andrà fisicamente in moschea e in sinagoga; in ballo non ci sono le ‘colpe’, ma «il nuovo inizio». A questo servono le «carezze» più volte invocate o l’attenzione agli ultimi di cui «abbiamo bisogno tutti». Attenzione su cui peraltro, nel silenzio e nella nostra disattenzione, si è svolta l’attività di Carlo Caffarra (dalle docce ai pasti nelle mense fino al fondo di solidarietà a disposizione di famiglie e disoccupati, impegno milionario). E’ su tutte queste basi che si spiega il passaggio più importante del saluto del nostro vescovo, che di sicuro andrà di traverso a molti: «Il pericolo che ci minaccia è il credersi puri perché non ci sporchiamo le mani. Il pericolo è l’indifferenza, il pensarsi isole, il guardare la realtàda spettatori, magari raffinati critici e attenti giudiconi». Zuppi avrà un linguaggio così moderno da apparire anomalo. Allegro, ma non banale. Ci dovremo abituare ai suoi punti esclamativi. Al suo essere «pop» nell’accezione più alta, nobile e coraggiosa del termine.