Bologna, 25 agosto 2013 - TANTO RUMORE, tutt’intorno un’umanità martellante per ore e ore, giorno e notte. Il movimento inarrestabile, la produzione frenetica, i gesti precisi e sempre uguali. E’ questo lo scenario in cui vive l’eremita. Certo non nell’accezione tradizionale del termine, ma in chiave contemporanea sì. La suggestiva metafora è la chiave di volta dello spettacolo della compagnia bolognese di teatro sperimentale Instabili Vaganti che con L’eremita contemporaneo-MADE IN ILVA ha vinto, dopo altri prestigiosi riconoscimenti, anche il premio della critica Ermo Colle 2013.
Diretta da Anna Dora Dorno e interpretata da Nicola Pianzola, con l’esecuzione musicale dal vivo di Alessandro Petrillo, la pièce tratta un tema spinoso, quello dell’Ilva di Taranto. Argomento estremamente caro alla regista, tarantina trapiantata a Bologna, che sull’ecomostro sul mare spalancava le sue finestre da bambina e che in quella fabbrica ha visto lavorare nonno e zio.
Cominciamo dal titolo...
«Io e Nicola - risponde la Dorno - eravamo a Taranto quando è scoppiato il caso Ilva. Già da alcuni anni stavamo indagando e sviluppando l’universo della fabbrica. Abbiamo intervistato gli operai, ascoltato le testimonianze di ragazzi come noi. La vita in fabbrica è una vita fuori dal mondo».
E l’eremita che c’entra?
«L’operaio vive in un non luogo in cui trascorre la maggior parte della sua esistenza. L’alienazione ci ha fatto pensare alla figura dell’eremita che non ci è sembrata, a quel punto, così anacronistica».
La vostra ambizione è di portare il progetto nella tana del lupo, a Taranto?
«‘L’eremita’ è stato rappresentato in quasi tutta Italia, nel nord Europa e in Iran, ma paradossalmente non riusciamo a portarlo a Taranto».
Per ostilità o cos’altro?
«Indifferenza. I teatri sono restii. La tradizione di teatro sperimentale non manca ma il tema non è gradito. Agli stessi lavoratori dell’Ilva, purtroppo. Lì nessuno vuole che la fabbrica chiuda. Anche se il nostro non è un teatro di denuncia che snocciola dati e punta il dito, l’impatto emotivo è molto forte. Le sole interessate sono le associazioni ecologiste ma non hanno spazi adeguati».
La sfida resta dunque aperta...
«Noi non ci arrendiamo».
Teatro fisico, teatro sperimentale. Gli operai dell’Ilva capirebbero?
«Finora lo spettacolo è stato accolto facilmente, proprio per il carattere emozionale e l’empatia che suscita. Ci potrebbe essere una forte immedesimazione».
Le motivazioni della giuria parlano di una “tensione fisica e emotiva che ha saputo incantare” e si profondono in complimenti per lei, Pianzola...
«Il pubblico rimane molto impressionato dalla componente fisica dello spettacolo. In scena resto quasi sempre intrappolato in una gabbia metallica in cui le azioni si ripetono fino allo stremo riproducendo la meccanicità dei gesti propri del lavoro che arrivano ad assumere movenze quasi acrobatiche».
La ripetitività porta all’esasperazione?
«Tanto che alla fine, come al culmine di una sessione di lavoro, l’attore cade in preda a una sorta di tarantismo, un’isteria, una frenesia che si impossessa di lui. Così scala il trespolo in cui è confinato attraversando il palco e cercando di raggiungere una luce gialla in alto. Ma come l’angelo di Lenz, a cui un piombo impedisce di alzarsi in volo, così l’attore sarà vittima di un’elevazione impossibile».
Quando vedremo ‘L’eremita contemporaneo’ a Bologna’?
«Con immensa soddisfazione siamo riusciti a portarlo in un teatro stabile per la prossima stagione e presto riveleremo quale. Ma faremo anche presentazioni nel nostro spazio».
Annalisa Uccellini
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