di Alessandro Gallo

Bologna, 1 marzo 2012 - “Sono un grande playmaker. Forse il più grande. Mi ha fregato solo l’altezza”. Quante volte, Lucio Dalla, ha manifestato la sua passione per la pallacanestro, ironizzando sulla sua statura, ma sottolineando, sempre, tanto il suo talento quanto la conoscenza di una disciplina nella quale gli americani si sono sempre considerati maestri. E Lucio, sia nel basket sia nella musica, era un vero americano. Tifoso della Virtus e tifoso del Bologna. Negli anni Settanta e Ottanta aveva un posto fisso, in parterre, per seguire le gare della sua amata Virtus.


Un anno – c’era un grande feeling con l’allora proprietario della Virtus, Gigi Porelli – aprì da par suo il trofeo Battilani. Era il classico torneo precampionato, che dava il via alla stagione. Prima ancora della passerella per la sua Virtus, al Plaazzo dello Sport, dove era di casa, si mise lui, al pianoforte, per cantare un paio di canzoni di successo.
Ovazioni per la Virtus, certo, ma tutti in piedi per osannare il piccolo-grande uomo della musica italiana.
 

Al Palazzo, poi, ‘litigava’ spesso. Litigava è un termine eccessivo: Lucio ci andava con il suo manager, Tobia Righi, tifosissimo dell’Olimpia Milano. E ogni volta c’era una discussione tra i due, per capire chi fosse più forte tra la Virtus Bologna e l’Olimpia Milano.


Grande appassionato di basket e capace di scherzare su se stesso: indimenticabile quel servizio per i Giganti del basket. Lucio con la sua canotta con la V nera sul petto accanto a un Augusto Binelli che, dall’alto dei suoi 214 centimetri, manco lo vedeva. “Mi ha fregato l’altezza, ma da tre non sbaglio una conclusione. Sono una macchina da canestri”, diceva ridendo.


Al Palazzo o al Dall’Ara, va sottolineato, ma sempre dotato di abbonamento. In periodo di tessere gratis e omaggi vari, Lucio non rinunciava mai alla sua indipendenza. E anzi incaricava l’amico-manager Tobia di acquistare magari qualche abbonamento in più: per avere la certezza di seguire uno spettacolo sportivo, per poter chiamare, magari qualche amico altrettanto appassionato.


Virtussino fino al midollo, ma mai nemico della Fortitudo. “Nel derby tifo Virtus – sottolineava spesso -, ma non posso nutrire sentimenti negativi nel confronti dell’altra squadra di Bologna. Perché anche la Fortitudo è Bologna”.
Bastava fornirgli un pallone da basket per vederlo sorridere: il piccolo-grande Lucio. Cestista forse mancato, ma appassionato di basket vero.