Bologna 5 luglio 2011 - SI INCONTRARONO non ancora ventenni. Lei gli piacque. Lui la corteggiò dolcissimamente. Lei fu sorpresa e conquistata da tanta tenerezza («possibile, proprio per me, che non sono neanche tanto bella»?). Lui la presentò in fretta e furia ai genitori e le parlò di matrimonio e figli. Lei lo lasciò, dopo l’Accademia di Belle Arti, dov’erano stati entrambi scolari di Morandi e dove lui — Luciano De Vita, il futuro incisore, pittore e scenografo — fu prescelto come assistente dal maestro, il quale ripeteva «che avrebbe potuto lavorare anche al bulino», la più difficile teccnica incisoria. Lui, accasciato per l’abbandono, le inviò lettere disperate. Sembra una di quelle storie rapinose come l’adolescenza che piacciono al cinema francese. E invece quel legame giovanile tra Luciano De Vita, scomparso prematuramente nel 1992 — la sua opera è in mostra, fino al 30 ottobre, alla Fondazione del Monte — e Teresa Curtarello, è inciso nella verità dei fatti. «Eravamo coetanei, entrambi del 1929 — racconta lei —, ed entrambi frequentavamo, tra il ’48 e il ’49, l’accademia Regazzi, davanti al teatro Manzoni, per prepararci all’esame d’ammissione all’accademia di Belle Arti. Ricordo che lui arrivava stravolto, roso da un tormento oscuro, da Ancona, dov’era nato: seppi poi che, seguendo un fratello, si era arruolato nella Decima Mas, il fratello era stato ucciso in combattimento e lui, appena adolescente, si era impregnato di tutti gli orrori della guerra, così come li aveva visti di persona».
L’AMORE sboccia spesso per il nostro opposto. Nulla di più lontano tra l’anima torturata di lui e quella solare di lei. «Con me era delicatissimo, pieno di attenzioni, una volta mi fece arrivare anche una lettera lunga 7 metri, scritta e dipinta, un rotolo come quelli dell’antico Egitto, fatto di carta da pacchi. Ma poi esplodeva la sua possessività, la sua violenza, una volta che lo scultore Quinto Ghermandi voleva farmi il ritratto picchiò lui e anche me. Non poteva continuare, i legami devono nascere da decisioni spontanee, profonde. Dopo l’Accademia non ebbi più contatti con lui, e il matrimonio, quello vero, lo feci con Renzo Renzi, lo studioso di cinema amico di Fellini. Tutto un’altro tipo, inutile sottolinearlo». Potevano venire a Luciano, fama e onori? «No, eppure era grande anche come scenografo, l’‘Aida’ con cui, il 5 dicembre del 1981, il Comunale riaprì, dopo un anno di restauro, aveva le sue scene e i suoi costumi. Ma come dice lo scrittore americano Topme Wolfe, il mercato dell’arte non è nella qualità. E lui era del tutto fuori dal mercato e dagli opportunismi». Da allora, la signora Teresa, oggi vedova Renzi, ha insegnato disegno e storia dell’arte nei licei e ha continuato a dipingere. Il 15 ottobre, nel Palazzo di Città di San Lazzaro di Savena, si inaugurerà una mostra dei suoi collage con ritratti di personaggi famosi della vita bolognese (Renato Zangheri, Anna Majani, Francesco Berti Arnoaldi Veli) e di ville sanlazzaresi.
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