Imola, 18 luglio 2017 - Se chiedete a Paolo Sangiorgi (VIDEO) quali competenze bisogna sviluppare per diventare i primi importatori italiani di legname di qualità come la Sangiorgi Legnami di Imola, la risposta vi lascerà stupiti: «L’olfatto – assicura –. E’ l’unica cosa che conta».
Sangiorgi, è una metafora? «No, io dico sul serio. Sa come ho cominciato io? Ero piccolissimo, venivo qui e stavo nel deposito dei legnami ad annusare. Così ho imparato a riconoscere la provenienza dei tronchi».
E che odore si sente? «È una poesia di resine e clorofilla che riporta alla natura dal quale quel tronco proviene. Ancora oggi i nuovi dipendenti cominciano da lì».
Più facile per lei, figlio d’arte. «Vengo da una famiglia di falegnami. Fu mio padre per primo ad avere l’intuizione di avviare un’attività industriale. Avrei imparato molto da lui, ma non ne ho avuto il tempo».
Un incidente? «Facevo l’esame di quinta elementare, mio padre era in campagna con mio fratello. Accese un fuoco nel solito punto, ma una bomba bellica che stava lì da anni decise di scoppiare».
E l’azienda? «Continuò il suo socio finché non entrammo mio fratello e io negli anni ’80. Iniziai annusando le tavole, divenni poi direttore generale e cominciai a viaggiare per il mondo alla ricerca di legnami da importare».
Oggi viaggia ancora? «Viaggio costantemente, invece: centomila chilometri all’anno di auto e almeno due viaggi all’estero al mese».
Cosa va a fare? «A cercare sempre nuovi legnami da importare, e sincerarmi della qualità di ogni singola partita».
Che viaggi sono? «Straordinari, fatti di aerei monoelica che sorvolano l’Amazzonia o i boschi africani e thailandesi e che atterrano in radure di fortuna. Ma non è solo avventura: credo che sia parte del nostro successo e della qualità che tutti ci riconoscono andare di persona nei posti, parlare con i tagliatori nella loro lingua, conoscere l’habitat di ogni nuova specie. E assicurarsi che i tagli vengano effettuati nel più rigoroso rispetto delle leggi e dell’ambiente, tematiche oggi fondamentali per noi: basterebbe una sola tavola di contrabbando o proveniente da una filiera non certificata, per rovinare una reputazione costruita nei decenni».
Avete risentito della crisi? «L’abbiamo superata ristrutturando l’azienda, per eliminare gli sprechi e concentrarci sui legni pregiati, uscendo dal mercato della pannellistica e dei compensati nel quale eravamo entrati nel 2008.
Il motivo? «La nostra forza sono le oltre 70 tipologie di legni esotici, dal teak alle specie africane, e soprattutto la nostra conoscenza acquisita nella loro lavorazione, dal taglio all’essiccazione. Siamo gli unici in Italia oggi a saperli trattare, era inevitabile ripartire da lì. Parliamo di legnami che possono andare dai 500 ai 15mila euro a metro cubo, e che vengono da tutto il mondo per tornare in tutto il mondo, nelle mani dei nostri clienti. Il nostro compito è non smettere mai di cercarne di nuovi».