Bologna, 15 gennaio 2014 - SIGNORINA, lei è stata la prima ad essere aggredita dal maniaco, sabato alle 5 e mezza del mattino. Com’è andata?
«Io studio Psicologia all’università e lavoro di sera come barista. Sabato ho staccato alle 2,30 e dopo sono andata a bere qualcosa con mia cugina e alcuni colleghi. Verso le 5,30 ho accompagnato mia cugina a casa, in zona San Vitale, e sono tornata a casa da sola a piedi, in via San Felice. E’ stato allora che quel tipo mi ha aggredita».

Lo conosceva?
«Sì, lo conoscevo perché io e mia cugina l’avevamo già visto in due occasioni. Un mese fa in un locale di piazza Verdi si era avvicinato e ci aveva ‘provato’ con mia cugina, dicendo che voleva conoscerci, ma noi l’abbiamo respinto in modo secco. Poi, il 28 dicembre, lo ricordo bene, io e mia cugina eravamo in un discopub sotto le Due Torri e l’abbiamo incontrato di nuovo. Ci ha riprovato e noi l’abbiamo rimpallato ancora».

Il suo aspetto?
«Alto 1,75-1,80, 25 anni, capelli biondi, occhi azzurri, vestito elegante, giacca scura, pantaloni scuri. Parlava un buon italiano, ma con accento straniero, forse inglese o del Nord Europa. Ci disse il nome ma non lo ricordo».

Aveva stivaletti neri sabato?
«Questo non l’ho notato, mi pare avesse scarpe scure ed eleganti, ma non ho visto se erano stivali».

Quando è antrato in azione?
«Io e mia cugina l’abbiamo visto in via San Vitale assieme a un gruppetto di persone. Poi mia cugina è arrivata a casa e io ho proseguito da sola. Non mi sono accorta di essere seguita, solo in via San Felice ho notato un uomo dietro di me. Ho attraversato e quello mi ha seguito, poi mi sono bloccata alla fermata del bus e lui pure. E’ stato in quel momento che l’ho guardato e riconosciuto. Non mi sono spaventata, pensavo stesse andando per i fatti suoi. Mai avrei pensato ciò che aveva in mente».

Poi cosa ha fatto?
«Ho proseguito verso casa e, arrivata al portone, ho cercato le chiavi nella borsetta, notando che lui era dietro di me. Ha fatto finta di telefonare. Io ho aperto e sono entrata e lui si è infilato dentro. Ancora non ero preoccupata, ho chiamato l’ascensore e, nell’attesa, mi sono seduta sulle scale».

E lui?
«Lui ha imboccato le scale e si è fermato pochi gradini sopra. Io ero girata, non lo vedevo, ma lo sentivo. Stava lì, immobile. A quel punto mi sono spaventata».

Poi?
«Quando le porte dell’ascensore si sono aperte mi è saltato addosso. Mi ha preso la faccia e ha tentato di baciarmi. Io l’ho respinto, gli ho detto: ‘Ma cosa fai?’. Lui senza dire una parola mi ha infilato le mani nelle mutande. Indossavo dei leggins, non era così complicato riuscirci. Io allora ho cominciato a picchiarlo e lui ha fatto lo stesso. Ho anche tentato di farlo ragionare, gli ho detto di guardarmi in faccia per impietosirlo, ma lui niente. Muto. Sembrava una macchina. Siamo finiti per terra e mi è salito sopra, palpeggiandomi di nuovo e tentando di spogliarmi. Allora ho capito che i miei pugni non servivano e ho urlato con tutta la voce che avevo. Lui mi ha dato un pugno in bocca e mi ha messo le dita in gola, tagliandomi la lingua con le unghie, mentre io l’ho morsicato».

Chi l’ha aiutata?
«Mia madre era sveglia, mi stava aspettando. Ha sentito le mie urla dal sesto piano e si è messa a gridare pure lei. A quel punto lui ha capito che stava per arrivare gente ed è fuggito. Io sono salita di corsa da mia madre, che mi ha vista con la faccia piena di sangue. Poi ha chiamato la polizia».

E dopo?
«E’ arrivata subito la pattuglia e abbiamo raccontato tutto. Solo dopo alcune ore siamo andate all’ospedale per esami e medicazioni. Mi hanno dato 10 giorni».

Adesso come sta?
«Sono tranquilla, non mi metto paure o paranoie e non smetterò di girare per strada. Certo, d’ora in poi, la notte dopo il lavoro prenderò qualche precauzione o tornerò a casa in taxi. Camminare da sola mi spaventerebbe un po’».

Ha saputo delle altre due aggressioni avvenute poco dopo?
«Sì, ho saputo. Non so se sia stato sempre lui, ma è possibile. Va fermato, perché da come si è comportato è davvero fuori di testa. Sono arrabbiatissima, vorrei picchiarlo. Voglio che venga preso e punito, posso riconoscerlo e sono in contatto con la polizia. Perciò ho accettato di parlarne, perché si sappia cosa fa e come agisce. Le ragazze devono stare attente. Quei 5 minuti mi sono sembrati un’eternità. Quell’uomo va fermato».

Gilberto Dondi