Bologna, 14 dicembre 2013 - «SE OGGI avessi una radio, applicherei ai Forconi il criterio che valeva a Radio Alice: totale libertà di esprimersi. Per tutti». Valerio Minnella, uno dei fondatori di una delle più note radio degli anni Settanta, non ha dubbi: «Microfoni aperti, anche se ci sono istanze che condivido e altre no. Poi, magari, un aspro dibattito». Bastarono pochi mesi per fare di Radio Alice una delle ‘radio libere’ (si chiamavano così) più conosciute d’Italia.
Sono i mesi caldi del Movimento del ’77. Culminati — sotto le Due Torri — con i fatti di marzo e l’uccisione di Francesco Lorusso, studente di Lotta continua, da parte dei carabinieri. Radio Alice, considerata «la radio dell’autonomia», è accusata di appoggiare i violenti, di guidare gli scontri. Viene chiusa il 12 marzo 1977, con l’irruzione della polizia trasmessa in diretta. Tutti gli arrestati saranno assolti. La ‘voce finale’ che racconta il blitz (un vero cult della radiofonia), è quella di Minnella.
Radio Alice appoggiava il Movimento?
«Radio Alice era un megafono. Faceva pura cronaca, raccontata però da chi viveva le cose».
Di chi era il megafono?
«Di chi entrava o telefonava in radio e trasmetteva ciò che voleva».
Senza filtri?
«Senza censure. Era ‘orizzontale’. Come oggi la rete, dove chiunque può dire ciò che vuole».
Può fare un esempio?
«Eravamo di sinistra, ma hanno parlato in diretta anche i fascisti».
Perché le accuse di avere diretto i fatti di marzo?
«La gente ascoltava a Radio Alice anche chi, dai cortei, si fermava a telefonare e in diretta diceva che sarebbero andati qua e là. Chi voleva, si muoveva di conseguenza».
Passava qualsiasi telefonata?
«Sì. E fummo i primi al mondo, credo, a collegare il telefono al mixer radiofonico. Era una comunicazione in tempo reale di ciò che accadeva in città. Non c’erano cellulari, blog e social network».
Non c’era il rischio di trasmettere messaggi in codice?
«Era tutto in chiaro. Al punto che ci fu uno che al telefono disse: ‘Prendete bastoni e bottiglie e andate in piazza: è guerriglia’».
Che ‘generi’ trasmettevate?
«Di tutto, senza palinsesto. Per un certo periodo ci fu un gruppo di studenti della Valcamonica che trasmetteva in puro dialetto camuno: incomprensibile. Si capiva solo una battuta: Noi camunisti. Diventò un tormentone».
Luca Orsi
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