Bologna, 24 agosto 2013 - Lui la mena alla fine di luglio e lei finisce in ospedale. Lo sanno anche i carabinieri, che intervengono. Dopo venti giorni la picchia un’altra volta e le spacca la faccia. Allora il gip emette l’ordinanza e l’uomo viene arrestato. Altra storia: lui la mena abitualmente, la insulta, il ménage familiare è praticamente un inferno, tanto che il marito viene condannato in primo grado a tre anni (con la condizionale) e a un risarcimento sostanzioso. Ma ricorre in appello e viene assolto dal reato di violenza perché la moglie reagiva, dunque non era la povera vittima che stava lì a prendere insulti e schiaffoni, ma tentava anche di difendersi.
Non è la cronaca banalizzata di qualche documento medioevale, tantomeno sono notizie prese da qualche giornale di un paesino islamico, dove le mogli si lapidano e tutti applaudono. Sono due notizie fresche della nostra cronaca locale. Ho letto, nel caso del giudizio d’appello che assolve il marito violento perché la moglie reagiva, che questa sentenza è destinata a far discutere. Speriamo. Io, a parte la comparsa sulle prime pagine di tutti i nazionali, non mi sono accorta che si sia sollevato questo gran dibattito. Da una parte il Parlamento vara leggi importanti sulla violenza, dall’altra i tribunali usano criteri dell’anno Mille. Come si fa a penalizzare una moglie che reagisce alle percosse? Come può essere considerata giustizia quella che vuole inchiodare la donna al ruolo di vittima passiva? Bisogna farsi uccidere, dunque, per essere credute?
Ed ecco che entra in scena la seconda realtà finita sulle cronache di questi giorni. Quell’uomo che picchia la compagna venti giorni fa e il fatto è noto ai carabinieri. Dopo neanche un mese la massacra di nuovo, e questa volta si muove il giudice. Ma scherziamo? Perché, una volta accertata la prima violenza, non è stato fatto nulla? Per quale motivo quel signore era ancora lì, accanto a quella donna, per poterla massacrare?
E se le cose fossero andate peggio, avremmo strillato scandalizzati davanti all’ennesimo femminicidio, come fosse il flagello delle cavallette di biblica memoria? Non è il caso di smetterla con tutta questa incompetente ipocrisia, che piange quando servono le prefiche per fare scena? Ci manca solo che qualcuno dia retta a quel delinquente che ha ucciso Silvia e l’ha messa nel freezer. Ora piange e dice che anche lei lo controllava, lo spiava, lo picchiava. Povero piccolo criminale. Se Silvia fosse stata lì buona buona a subire violenze e soprusi, magari ora sarebbe ancora viva. Qualcuno lo pensa. Parlano le sentenze.
Gaia Giorgetti
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