Bologna, 2 giugno 2011 - DUE chiacchiere al volo con Beppe Signori, prima che la Questura gli imponesse di lasciare spento il telefonino. «Giuro che io con il calcioscommesse non c’entro assolutamente niente. Non so neppure perché sono finito dentro a questa storia».

Incredulo, stranito, come può essere chi si addormenta nella casa di Roma con i suoi tre figli e si sveglia agli arresti domiciliari, indicato come il fulcro bolognese delle scommesse: «Ho sempre giocato, lo sapete tutti, ma alla luce del sole, entrando nelle agenzie e sapendo che tutti mi avrebbero visto. Infatti, non ho nulla da nascondere».

Beppegol con la memoria ripassa gli ultimi mesi della sua vita: «Mi possono controllare in lungo e in largo e non troveranno mai nulla di compromettente. Perché la mia è una vita vissuta alla luce del sole. Non ho mai preso scorciatoie, mai avuto contatti con il mondo delle scommesse illegali, mai neppure lontanamente pensato di incidere sul risultato di una partita». E’ sereno l’uomo che per sei stagioni ha dispensato gioie ai bolognesi e favori a chiunque gliene abbia chiesti. Signori, un pozzo di generosità, un ragazzo attento più ai bisogni degli altri che al suo conto corrente: «Spero che mi controllino presto i movimenti bancari, perché appena lo faranno si accorgeranno che non esiste una sola entrata anomala né una sola uscita sospetta».

Signori si è impegnato nella ristrutturazione di una vecchia pizzeria a Porta Lame, ormai trasformata in un moderno ristorante, prossimo all’apertura: «I miei soldi li ho messi lì, non certo nelle scommesse».
Beppegol, il suo soprannome dei giorni in cui vinceva la classifica due cannonieri con la Lazio o incantava i bolognesi con i suoi gol belli e impossibili, sembra sereno: «Non è che lo sembro, lo sono davvero. Perché so che tutta questa storia finirà presto e che l’equivoco sarà chiarito».

Le scommesse, prima un divertimento, poi una mania. Quando sarà fuori da questa faccenda, al massimo riproporrà quella del «Buondì», che lo rese celebre come giocatore (si fa per dire) d’azzardo. La lanciò a Sestola, dove il Bologna continua ad andare in ritiro: «Se camminando riuscite a ingoiare un Buondì prima di aver mosso il ventunesimo passo, io vi do mille euro. Se non ci riuscite, me ne date uno a me». Ci provarono in venti e persero tutti. Ovviamente, con quei venti euro incassati, Beppe offrì da bere agli sconfitti. E ne spese quaranta di euro. Perché così ha sempre considerato le sue scommesse: un gioco. Che ora è diventato il suo incubo. Poco ma sicuro, quando sarà uscito da questa storia, non metterà mai più piede in un’agenzia di scommesse.
Vive a Bologna dall’estate del 1998, dove lo aspettava la pensante eredità di Robi Baggio. Ne cancellò il ricordo in fretta, entrando nel cuore di tutti e calciando il pallone in tutte le porte avversarie. Un simbolo della città, un calciatore che non accettava ombre sul suo cammino. A Roma (sponda Lazio) come a Bologna: appena sentì che mancava un solo quarto di armonia, disse basta. A coloro a cui ha dato gioie per molti anni, ieri, finito sotto assedio, ha chiesto una sola cosa in cambio: «Sono dentro un incubo, abbiate pietà».