Bologna, 11 marzo 2011 - DAL ‘SENTIERO’ degli scout alla ‘strada’ del Movimento il passo è stato breve. Più o meno come quei metri di sangue tra via Irnerio e via Mascarella, dove, comunque, Francesco Lorusso ha camminato e s’è raggomitolato nella morte sempre in nome d’una bandiera. Di una fede. Marxista e politica nelle furibonde giornate del ’77. Cattolica e religiosa nei campi degli esploratori dell’Asci un decennio prima.
Di quel gigante biondo, ucciso 34 anni fa da un colpo di pistola schizzato ad altezza d’uomo da un’arma d’ordinanza, non riescono a liberarsi gli occhi del suo ex caporeparto, Fausto Filippini, pesarese, che ha ‘allevato’ nidiate di ragazzi tra attività negli esploratori e cattedre di professore di lettere nelle scuole.
Filippini gira e rigira tra le dita le ‘Kodacolor’ del Sessanta, quelle con la cornicetta bianca. Sono gli albumini dall’odore di plastica, quelli del suo cursus honorum negli scout cattolici. Lo chiama ancora per nome, il ragazzone militante di Lotta continua. L’ha conosciuto per una manciata d’anni. O poco più. Ma non riesce a dimenticare. «Guardi, guardi questa. Qui prega. E’ in montagna». Dieci anni prima di via Mascarella, era il ’67, Francesco è genuflesso. Mani conserte. Lo sguardo ancora fanciullesco dietro quegli occhialoni che diventeranno un po’ l’icona della sua morte. Poi, eccolo, camicia cachi, svettare tra gli esploratori, col fazzolettone blu che gli abbraccia il collo, in un corteo. E non erano ancora quelli del Movimento.
Filippini, ci racconti l’altra gioventù di Francesco.
«L’aspetto fisico, prima di tutto. Era un giovane più sviluppato della sua età. Dimostrava di più».
Lei era un capo scout di quelli esigenti. Andavate d’accordo?
«Si è stabilito un rapporto di fiducia. Poi, lentamente, ha delineato il suo carattere: era un mite».
Ma tra i ragazzi del reparto scout, che cosa lo distingueva?
«Era il più disciplinato».
Ecco, lei ora mostra queste immagini di Lorusso. Ma ne racconti una che nelle foto non si vede.
«Un giorno studiavamo la natura, eravamo in un bosco, vicino a un convento, nel Pesarese. Francesco sospende di colpo la sua caccia. Sento chiamare: ‘Fausto, Fausto, guarda!’. E mi porta una talpa in mano. Appena uscita dalla tana».
Dopo gli scout, l’ha più visto?
«Ma sì. Ha continuato con quelli più grandi, i ‘rover’».
Quando l’ha perso di vista?
«Solo dopo. L’ho incontrato più tardi. Credo fosse già entrato nella politica».
Che cosa glielo fece supporre?
«Eravamo in casa di una ragazza. E mi esce con questo discorso: ‘Guarda, Fausto, riflettevo sulla tua presenza negli scout. Tu sei un proletario che tiene figli di borghesi’. E mi incalza: ‘Che cosa ti spingeva a farlo?’. Gli ho dato la mia risposta: ‘Perché sono tutti figli di Dio’».
L’ha incontrato quando faceva l’università?
«Sì, per strada. Mi ha detto che era a Bologna, col suo solito modo garbato».
Undici marzo ’77. Francesco muore in via Mascarella. Lei come l’ha saputo?
«Dalla tv. La sera stessa siamo andati a una messa di suffragio. Abbiamo ricordato la sua figura».
Le capita mai di pensare a Lorusso?
«Ogni sera, con mia moglie, ricordiamo i nostri morti. In quel momento io ricordo anche i miei ragazzi. Uno ad uno: Maurizio, Franco, Vittorio... Francesco è tra loro».
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