Bologna, 19 novembre 2015 - Proprio mentre viene annunciata la pubblicazione del nuovo capitolo della “bootleg series”, dedicata alle rarità che non sono entrate negli album ufficiali, Bob Dylan, come se fosse un folk singer con il culto della strada, macina chilometri e geografie, permettendosi di stravolgere i suoi classici, che, dal vivo, sono sempre più lontani dall’originale. Così è per questo tour europeo che, arrivato alla fine, lo porta anche a Bologna (FOTO) per due date al Teatro Manzoni, e poi a Milano, al Teatro degli Arcimboldi, il 21 e il 22.
Avere il più celebre folk singer di tutti i tempi a pochi metri di distanza, è per il pubblico occasione irripetibile. Per nulla votato a coltivare il ruolo della rockstar che rende omaggio a se stessa, Dylan strazia il suo immaginario, quello che ha fatto di lui una icona, senza curarsi di eseguire le sue gemme come siamo abituati ad ascoltarli. E, se la voce è sempre più roca, sussurrata a volte (sarà anche come omaggio all’amato Frank Sinatra al quale ha dedicato il recente disco di cover “Shadows in the Night”), la band lo sostiene con una energia blues sporca e sensuale che esalta il linguaggio del corpo proveniente dal Delta del Mississippi. Musica di miscela, la sua, c’è il folk, il rock, il blues, l’Africa e l’America, proprio come quando Elvis inventò il rock’n’roll.
Ma, rispetto al gigante di Tupelo, Dylan ha aggiunto quella impellenza sociale che deriva dall’adorazione per il suo maestro Woody Guthrie. In scaletta soprattutto brani dagli ultimi dischi, da “Tempest”a “Shadows in the Night”, divisi in due tempi. Apertura con “Things Have Changed”, che gli valse un Oscar nel 2000, dopo poco “What I’ll Do” e proseguimento come negli show che hanno preceduto quello bolognese. Con un intervallo nel quale, presumibilmente, il cantante consuma i cibi preparati sul momento dal suo cuoco personale che ha preteso fosse, con una cucina perfettamente attrezzata, nel camerino proprio a fianco al suo.
Piccole bizzarie (come i divani in pelle nera e gli asciugamani dello stesso colore, sempre per il camerino), in fondo poca cosa rispetto alle richieste folli delle rockstar Perché Dylan è ancora fortemente concentrato sulla musica, e anche quando si confronta con un repertorio molto pop, proprio come con le canzoni di Sinatra in questo tour, lo fa con il piacere della pura sperimentazione. Riconducendo, ad esempio, ballate che il grande crooner interpretava con una orchestra di 20 elementi, ad una dimensione più intima.
Si divide, come è sua consuetudine, tra la chitarra e il piano, tra citazioni western ed honky tonk, trasmettendo, sin dalla prima nota, l’impressione che lo show, anche se è il frutto di prove maniacali e ripropone, ad ogni data, una sceneggiatura solidamente scritta, nasca invece solo per il piacere degli ascoltatori. Specie in queste date bolognesi, dove, davvero, la sensazione di intimità ci trasporta, dalle prime note, nei piccoli folk club del Village dove il giovane Dylan esordiva.